English Italiano Espanol Francais Russian Mandarin

Lettura e comprensione del testo (alto livello di difficoltà)

dal quotidiano La Repubblicadel 18 maggio 2005

Dopo 8 mesi di prove, va in scena domani. De Filippola scrisse su invito di Giulio Einaudi.
Metti un giorno a Rebibbia. Shakespea
re in napoletano. La Tempesta tradotta da Eduardo interpretata dai detenuti del reparto di massima sicurezza


di GAIA GIULIANI

ROMA - Loro sono quelli di Fine pena mai. Sul palcoscenico c'è anche chi deve scontare solo pochi anni, ma sempre nel reparto di massima sicurezza. Quello di fianco agli impianti sportivi, sulla destra del lungo vialone di Rebibbia dove all'ora dei colloqui gli enormi cancelli si aprono e inizia una processione di gonne e sacchetti di plastica. Qualche vestito, cibo, la notizia che la casa è stata venduta, "tanto che ci fa?", sussurra una della fila all'amica. Nessuno ha fretta di arrivare o di uscire.

 

Il tempo sembra sospeso: è l'"isola" Rebibbia questa. La stessa che andrà in scena domani con una ventina dei detenuti più pericolosi del complesso, tutti napoletani. Da ottobre stanno provando La Tempesta di Shakespeare nel teatro del carcere, ma in un'edizione speciale che nessuno ha mai rappresentato prima, quella che Eduardo tradusse e riscrisse in dialetto del Seicento assieme alla moglie Isabella.

 

De Filippo la scelse, ormai anziano senatore della Repubblica, su richiesta di Giulio Einaudi, negli stessi giorni in cui visitava il carcere minorile di Nisida, per quei giovani detenuti combatté tante battaglie. Per lui l'isola dove si rifugia Prospero, Duca di Milano a cui il fratello Antonio ha usurpato il regno, è il carcere, termine che torna spesso nella sua versione. "Ma è un carcere che ci aiuta ad evadere, perché l'arte abbatte il muro, lo rende trasparente", racconta Cosimo Rega, ergastolano, Prospero.

 

Si è già fatto 27 anni dentro, se e quando uscirà non lo sa, per lui vale il fine pena mai. Ma è grazie a lui che tra le poltrone viola del teatro del carcere si fa teatro. Qualcuno ridendo gli fa notare che i suoi capelli imbiancano di giorno in giorno. "Si invecchia prima in galera", commenta con un sorriso sbilenco, "si vegeta da vivi. Per poter recitare ho fatto lo sciopero della fame finché, un giorno, è arrivato il direttore Carmelo Cantone e mi ha detto: voi mettete la tavola, al piatto ci penso io", ricorda sedendosi con posa regale su una delle poltrone. "Gli altri detenuti li ho coinvolti tutti io - è il capocomico - non è stato facile. Se fossi stato un detenuto qualunque mi avrebbero riso in faccia, ma è grazie al mio curriculum malavitoso che li ho convinti".

 

Cosimo è uno che ha ammazzato per la camorra, lo dice senza problemi, è un "capo". E come lui anche molti del gruppo. Quando sfilano in cortile gli altri li salutano con rispetto, quello che si deve ai boss. "Anche se adesso mi sento una pecora. Interpretare il personaggio di Prospero mi ha messo in crisi, mi ha fatto riflettere, e soffrire, molto. Il teatro ha sciolto tutti i tabù, non ci sono più le gerarchie, e i capi sono andati in crisi perché ha creato un vuoto di potere, ha fatto calare la maschera di duri e i problemi sono affiorati tutti insieme", continua con gli occhi azzurri che si infiammano. "Per me la sua bacchetta è diventata quello che un tempo fu la pistola. Prospero è uno che ha perdonato: io non provo pietà per il pentito che mi ha venduto, ma neanche desiderio di vendetta. Ho capito che solo con l'amore si possono cambiare le cose". E sale sul palco.

 

Lo segue Ariele-Salvatore Striano, uno che a guardarlo dimostra quello che è ed è stato, uno scugnizzo. Qualche centimetro sopra il metro e sessanta, due occhi grandi e sgranati. Quando vede arrivare Valentina, l'unica attrice professionista del gruppo che viene "da fuori" insieme al regista Fabio Cavalli, si aggrappa alle sbarre della sua cella e la chiama a squarciagola: "Valentinaaaaaa, Valentinaaaaa". Ha trentadue anni, sei in galera, altri due per uscire.

 

Piccoli reati, aggravati dal "reato associativo" del 416 bis. "Grazie al teatro sto acquistando delle emozioni, roba che prima non sapevo neanche cosa fosse, e un po' mi fanno paura. Ariele è un personaggio molto più bello di me, e quando comincio a recitare non esiste più niente". Quando entra in scena lo fa cantando e ballando, si muove con l'agilità di una marionetta, una forza della natura, sembra nato per fare l'attore. Se n'è accorto anche Carlo Cecchi che è venuto qualche settimana fa a vedere le prove, e pare che adesso aspetti il rilascio per scritturarlo. Il dialetto secentesco gli esce fuori come un torrente, non sbaglia una virgola, adesso è tutto lì sopra.

 

Valentina Esposito, Miranda, gli è molto affezionata. È anche l'unica donna con cui hanno un contatto fuori dall'ora dei colloqui. "Le prime volte erano molto imbarazzati, mi tenevano a distanza. Avevano paura anche solo di sfiorarmi, anche se si trattava di movimenti scenici, e chiedevano sempre il permesso. Poi si sono sciolti. Con loro ho dovuto dimenticare la mia impostazione professionale, sono di una semplicità disarmante". Ormai si conoscono da due anni, Cosimo ha una figlia della sua età e la chiama "bimba".

 

Insieme hanno già recitato Napoli milionaria, sempre del prediletto Eduardo. E sempre per la regia di Cavalli, che ottenne la loro fiducia in quell'occasione dopo uno scontro che li mise ai ferri corti e che stava per far precipitare tutto. "Arrivai a lavoro iniziato grazie alla fondazione Enrico Maria Salerno che ancora oggi finanzia tutto. I ruoli delle donne li facevano da soli, con delle parrucche. Dissi subito di toglierle, e scoppiò il dramma. Nessuno voleva rinunciare alla sua, e neanche ai fondali dipinti. Lì ho capito quanto fosse forte il loro gusto partenopeo per il travestimento. Dopo delle lunghe litigate ho ceduto sulle parrucche e loro sui fondali". Adesso si affidano a Cavalli come dei bambini, "meglio degli attori professionisti che criticano sempre tutto". Fargli memorizzare la parte non è stato difficile, "è gente che comandava, il gotha del crimine: c'è chi si è preso una condanna di vent'anni pur di non fare i nomi dei complici. Da quando hanno capito che possono fidarsi di me, gli ho insegnato ad immedesimarsi nella parte, a piangere. Un giorno mentre sette di loro piangevano in scena, gli altri quindici che facevano da spettatori li hanno seguiti scoppiando in un pianto dirotto", ormai "nudi", costretti a fare i conti con se stessi. Il 25 a Rebibbia si proietterà il film Fatti della banda della Magliana di Daniele Costantini. Tra gli attori alcuni detenuti comuni. Anche per loro la recitazione è diventata un modo per uscire allo scoperto, riscattarsi agli occhi della famiglia e della società.

 

Perché le loro sono Tempeste che infuriano dentro.

 


Rispondi alle seguenti domande


1. Chi era Eduardo De Filippo?

2. Che tipo di istituzione è Rebibbia?

3. In quale città italiana di trova?

4. Chi sono i "detenuti"? Trova dei sinonimi nel testo.

5. Perché Rebibbia è definita "un'isola"?

6. Spiega il senso della metafora: "voi mettete la tavola, al piatto ci penso io".

7. Che cosa è la camorra?

 

8. "Scugnizzo" è un termine che appartiene al dialetto napoletano. Ne conosci il significato? Sei in grado di ricavarlo dal testo?

9. Spiega il significato dell'aggettivo "partenopeo"
.

10. Di che tipo di manifestazione parla l'articolo? (Chi sono gli attori? Dove si svolge? Quale è il fine?)